Burberry: la fenice del lusso britannico

Burberry era diventata l’ombra di sé stessa, troppo visibile per essere ancora esclusiva. La sua rinascita - tra licenze ritirate, prodotti distrutti e abbraccio al digitale - è una lezione esemplare di branding strategico. Un racconto di coraggio, identità ritrovata e visione proiettata nel futuro.

Immaginate di essere il custode di un tesoro nazionale britannico con 150 anni di storia. Poi, quasi dall’oggi al domani, vedete quel tesoro trasformarsi in qualcosa che la Regina non indosserebbe mai più. Questo è quello che è successo a Burberry, e la sua rinascita è una masterclass di branding strategico.

Gli anni ’90 furono il paradosso di Burberry: il successo stava uccidendo il brand. Il famoso pattern check era ovunque, dalle borse ai biberon. Burberry aveva oltre 20 licenze diverse, ognuna che produceva qualsiasi cosa con quel motivo iconico.

Il risultato? Un brand di lusso centenario stava diventando l’antitesi del lusso: troppo accessibile, troppo visibile, troppo comune.

Nel 2006, entra in scena Angela Ahrendts con una visione che sembrava folle: salvare Burberry sacrificando una parte significativa del suo business.

La prima mossa? Spendere centinaia di milioni per riacquistare le licenze. Poi, il gesto più audace: distruggere prodotti per milioni di sterline. Non era uno spreco – era una purificazione del brand.
La strategia era brutale ma brillante: tornare all’essenza. Il trench coat, l’icona originale di Burberry, inventato per l’esercito britannico nella Prima Guerra Mondiale, doveva tornare al centro della storia. Ma con una svolta moderna.

Mentre altri brand del lusso resistevano al digitale, Burberry ha fatto l’impensabile: ha abbracciato il futuro. Prima sfilata in streaming live? Burberry. Primo brand di lusso a investire seriamente nei social media? Burberry. Personalizzazione digitale dei prodotti? Ancora Burberry.

Brand Refocus di Burberry

Ahrendts ha agito su tre livelli:

  • Fattori distintivi: ha riportato il focus sul trench coat, simbolo di Burberry, e sull’heritage britannico, elementi distintivi del brand.
  • Fattori emozionali: ha ricostruito l’immagine di un marchio esclusivo, desiderabile, legato a un’idea di lusso moderno e dinamico.
  • Fattori relazionali: ha sfruttato il digitale per creare una connessione più diretta con i clienti, offrendo contenuti esclusivi, personalizzazione e un’esperienza coinvolgente.

Il risultato di questa trasformazione? In meno di un decennio, il valore del brand è triplicato. Ma il vero successo non è nei numeri – è nel significato. Burberry è tornata a essere un simbolo di lusso britannico, ma questa volta con un piede saldamente nel futuro.

La lezione più importante? Il branding strategico a volte richiede il coraggio di distruggere per ricostruire. Come la fenice che rinasce dalle proprie ceneri, a volte un brand deve avere il coraggio di sacrificare il presente per riconquistare il futuro.

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