“Start with Why.”
Un intervento pubblico diventato virale, con oltre 60 milioni di visualizzazioni. Un libro best-seller. Un modello tanto semplice quanto seducente.
Il Golden Circle di Simon Sinek ha conquistato il mondo del business. E come tutte le idee potenti che diventano popolari, ha perso la sua anima lungo la strada.
Come un’intuizione diventa una formula
C’era qualcosa di rivoluzionario nell’idea originale di Sinek.
Partire dal perché. Mettere al centro lo scopo. Connettere le persone attraverso valori condivisi.
Ma poi è successo quello che succede sempre: Il mercato del consulting l’ha trasformata in un template. I workshop l’hanno ridotta a un esercizio. Le agenzie l’hanno venduta come prodotto.
Ed eccoci qui, circondati da “perché” preconfezionati. Tutti uguali. Tutti ispiranti. Tutti vuoti.
L’epidemia dei “perché” fotocopia
“Perché esistiamo? Per rendere il mondo un posto migliore.” “Perché lo facciamo? Per ispirare le persone.” “Perché ci alziamo al mattino? Per innovare.”
Sembra familiare?
Il problema non è il metodo. È la sua applicazione.
Quando tutti seguono la stessa formula, nessuno si distingue. Quando tutti cercano di ispirare, nessuno ispira davvero. Quando tutti dichiarano di “cambiare il mondo”, il mondo resta com’è.
Il “why” preconfezionato
Il paradosso è questo: Una metodologia nata per scoprire l’autenticità è diventata la sua negazione.
Workshop di mezza giornata dove il CEO “scopre” il suo perché. Template che trasformano la missione in frase ad effetto. Consulenti che riciclano lo stesso “why” per aziende diverse.
Come se l’anima di un’organizzazione potesse emergere con un brainstorming. Come se i valori profondi fossero questione di post-it colorati.
L’Italia: un tesoro di “perché” autentici
In Italia abbiamo un tesoro nascosto.
Un patrimonio di aziende con “perché” autentici e potenti. Storie di famiglia che attraversano generazioni. Tradizioni artigianali custodite con orgoglio. Passioni coltivate con pazienza e dedizione.
La differenza è nella domanda fondamentale: “Perché fai un’azienda? Qual è lo scopo della tua azienda?”
L’imprenditore americano risponde quasi sempre allo stesso modo: “Ho una grande idea, voglio costruirla, vendere l’azienda e fare un sacco di soldi.”
Ma l’imprenditore italiano? Risponde in modo completamente diverso: “Voglio fare le migliori scarpe del mondo.” “Voglio fare le cucine più belle.” “Voglio costruire le automobili più veloci.”
Il senso dell’azienda è completamente diverso. È un “perché” che non ha a che fare con l’exit strategy. Ma con l’eccellenza. Con la maestria. Con il lasciare un segno.
Questo è un “perché” potentissimo, anche se non appare mai nei TED Talk. È un “perché” che non ha bisogno di essere inventato. È già lì, nel DNA di migliaia di aziende italiane. Ed è ciò che ci ha permesso di essere qui fino ad oggi, e ci permetterà di esserci anche in futuro.
Il paradosso della consulenza
Eppure, molti consulenti stanno convincendo queste stesse aziende che il loro “perché” autentico non è abbastanza. Che devono adottare formule importate. Che devono “elevare” la loro missione.
E così assistiamo a questo strano spettacolo: Il calzolaio che non parla più di scarpe ma di “empowerment”. Il ristoratore che non racconta il territorio ma “l’innovazione”. Il produttore di vino che non menziona l’uva ma “l’inclusività”.
Stanno scambiando oro per un orpello (orpello ho dovuto studiarlo per bene perché l’istinto mi spingeva ad usare il classico “mxxxx per cioccolata”).
Riflettiamoci bene. L’identità può essere messa dentro un template?
Riconoscere un “perché” artefatto
I segnali di un “why” costruito a tavolino:
- Potrebbe essere applicato a qualsiasi azienda
- Contiene almeno una parola come “innovazione”, “ispirazione” o “passione”
- Suona bene ma non dice niente di concreto
- Non spiega davvero perché l’azienda fa quello che fa
- Non ha alcun legame con la storia reale dell’organizzazione
- Si vergogna della realtà tangibile del business
- Sembra scritto da ChatGPT
Il vero “perché” di un’organizzazione è come un’impronta digitale. Unico. Irripetibile. Impossibile da falsificare.
L’illusione della formula magica
La promessa implicita del Golden Circle è seducente: Trova il tuo “perché” e il successo seguirà.
Ma la realtà è più complessa:
- Molte aziende di successo non hanno un “perché” ispiratore
- Molte aziende con “perché” potenti falliscono miseramente
- La connessione tra scopo e performance è fragile e variabile
Non esiste una formula magica. Non esiste un template per il successo. Non esiste una scorciatoia per l’autenticità.
Simon Sinek non voleva questo
È importante ricordarlo: Sinek aveva intuito qualcosa di profondo.
Non voleva creare l’ennesima formula. Non immaginava workshop da due ore per “scoprire il why”. Non pensava che sarebbe diventato un esercizio di marketing.
Voleva spingere le organizzazioni a riconnettersi con il loro scopo profondo. Con la loro vera ragion d’essere.
Ma il mercato fa quello che sa fare meglio: Prende le idee profonde e le trasforma in prodotti. Prende le intuizioni e le trasforma in formule. Prende l’autenticità e la trasforma in performance.
Più tangibile, meno spirituale
Per un’azienda italiana, il vero “perché” è spesso molto più concreto di quanto i consulenti vorrebbero farci credere.
Non è “cambiare il mondo”. È il desiderio di far vivere una tradizione familiare.
Non è “ispirare le persone”. È l’orgoglio di fare le cose in un certo modo, con cura.
Non è “rivoluzionare il settore”. È la soddisfazione di creare qualcosa che dura e che porta il tuo nome.
Questi “perché” terreni, concreti, tangibili sono infinitamente più potenti di qualsiasi frase ispirazionale importata. Perché sono veri. Perché sono vissuti ogni giorno. Perché sono profondamente italiani.
Il problema non è che manchiamo di “perché” significativi. Il problema è che non li riconosciamo come tali. Li abbiamo sotto gli occhi, ma cerchiamo altrove.
L’elefante nella stanza
C’è un’altra verità che il culto del “why” ignora: A volte, il perché è semplicemente economico.
E non c’è nulla di male in questo.
Creare valore. Guadagnarsi da vivere. Costruire qualcosa che duri.
Sono motivi perfettamente validi per fare impresa. Non tutto deve essere una missione per cambiare l’umanità. Non tutti devono avere un “perché” che farebbe piangere di commozione.
Per chi sta cercando di far emergere il proprio valore
C’è un’Italia nascosta, fatta di aziende con “perché” autentici che aspettano solo di essere riconosciuti.
Se sei uno di quegli imprenditori che:
- Ha costruito qualcosa di cui andare orgoglioso
- Ha sviluppato un metodo, un’attenzione, una cura unica
- Ha una storia autentica che non ha mai raccontato
- Ha scelto di non vendere, ma di far crescere con pazienza
Il tuo vero “perché” non va inventato. Va fatto emergere.
Non nelle sessioni di brainstorming. Ma nella tua storia quotidiana.
Non nei libri di management americani. Ma nel motivo per cui hai resistito quando potevi cedere.
Non nelle formule altrui. Ma nelle tue scelte, anche quelle difficili.
Il vero Golden Circle è personale
Il vero “perché” di un’azienda non è qualcosa che si costruisce. È qualcosa che si scopre.
Non è un manifesto sulla parete. È quello che ti fa alzare al mattino anche nei giorni difficili.
Non è ciò che dici al mondo. È ciò che ti dici quando nessuno sta ascoltando.
Oltre il cerchio dorato
Forse è tempo di andare oltre il Golden Circle.
Di liberarsi dal peso di dover avere un “perché”.
Di smettere di fingere che ogni azienda debba avere una missione salvifica.
E iniziare a valorizzare l’autenticità, qualunque forma essa prenda. Anche quando è semplice. Anche quando è terrena. Anche quando non cambierà il mondo, ma solo un piccolo pezzo di esso.
Perché alla fine, non è la grandezza del tuo “perché” che conta. È la sua autenticità.
E l’autenticità non sta in un cerchio. Non segue una formula. Non entra in un template.
L’autenticità è disordinata, imperfetta, umana. Proprio come dovrebbe essere un vero business.
Il vero successo del Made in Italy non è mai stato nell’inseguire formule straniere, ma nell’essere autenticamente se stesso. Non abbiamo bisogno di inventare “perché” ispiratori quando la nostra tradizione imprenditoriale è già piena di motivazioni profonde e autentiche. Il compito non è creare, ma far emergere: dar voce a quelle storie che sono rimaste troppo a lungo inascoltate.