“Content is King”: il mantra tossico che ha inquinato il marketing

Il mantra "Content is King" ha trasformato il marketing in una fabbrica di rumore digitale. Il 90% dei contenuti aziendali non viene mai letto, eppure continuiamo a produrne sempre di più. Risultato? Un'overdose di irrilevanza che inquina invece di comunicare. È ora di passare dal "quanto contenuto possiamo produrre?" al "quanto valore possiamo dimostrare?". Meno quantità, più verità.

“Quando una misura diventa un obiettivo, cessa di essere una buona misura.”Legge di Goodhart

E quando un mezzo diventa un fine, cessa di essere efficace.

Benvenuti nell’epoca dell’inquinamento da contenuti.

Il dogma che ha avvelenato il marketing

“Content is King.”

Bill Gates lo scrisse nel 1996.

Da allora, è diventato il mantra più ripetuto del marketing digitale.

Lo trovi in ogni presentazione. In ogni strategia. In ogni corso. In ogni agenzia.

È la frase che giustifica budget.

Che motiva investimenti.

Che riempie calendari editoriali.

Peccato che stia uccidendo ciò che dovrebbe salvare.

La trasformazione tossica

La verità è semplice:

Quando “creare contenuti” diventa l’obiettivo, il contenuto perde valore.

Quando la quantità diventa la metrica, la qualità scompare.

Quando il mezzo (il contenuto) diventa il fine, il vero scopo (la rilevanza) viene dimenticato.

È la Legge di Goodhart in azione.

La fabbrica dell’irrilevanza

Oggi il 90% dei contenuti aziendali non viene mai letto.

Il 60% dei marketer produce contenuti ogni giorno.

Il 70% delle aziende ha aumentato il budget per i contenuti.

E il risultato?

Un rumore di fondo assordante. Una nebbia di messaggi impenetrabile.

Contenuti che nessuno ha chiesto. Che nessuno legge. Che non servono a nessuno.

Ma che devono essere prodotti. Perché qualcuno ha preso solo queste 3 parole “Content is King” e non è andato oltre al loro significato.

Il vuoto travestito da sostanza

“Dobbiamo pubblicare tre post a settimana.” (… e chi lo ha detto?)

“Ci serve un blog con contenuti freschi.” (ma perché?)

“Facciamo un calendario editoriale per i prossimi tre mesi.” (…non sarebbe meglio cosa abbiamo fatto di concreto da poter raccontare?)

Ma nessuno si chiede:

“A chi serve davvero questo contenuto?”

“Quale problema risolve?”

“Quali azioni concrete dimostra?”

… e si parte con la sagra dei “ganci”:

“10 modi per…” – “Lo sapevi che…” – “Se non fai questo…” …

… e ancora… tutorial ovvi, infografiche ridondanti che non spiegano niente, whitepaper o pdf che nessuno leggerà.

Video che si potrebbero riassumere in tre frasi.

Non a caso su TikTok spopola “Accorciabro“, l’eroe che condensa in 15 secondi contenuti inutilmente lunghi pensati solo per ingannare l’algoritmo (ecco un l’altro mito oscuro che esce dal cilindro quando le cose non vanno come previsto).

Le metriche che non misurano nulla

Visualizzazioni di pagina.

Tempo di permanenza.

Engagement.

Click.

Condivisioni.

Metriche che misurano l’attenzione, non l’impatto.

Che contano occhi, non menti.

Che valutano il rumore e quasi mai il significato.

Quando queste metriche diventano obiettivi, ogni contenuto diventa solo un mezzo per gonfiarle.

Per chi sta remando controcorrente

Se sei un imprenditore italiano che crede ancora nell’eccellenza…

Se metti il cuore in ciò che produci…

Se sei stanco di consulenti che ti spingono a “creare contenuti” senza capire la tua realtà…

Sai di cosa parlo.

Ti sei mai chiesto perché, nonostante tutti questi contenuti, la tua vera storia non emerge?

Perché le persone non vedono realmente la qualità che c’è dietro il tuo prodotto?

Perché quella passione che metti nel tuo lavoro si perde nei post social e nei blog?

È semplice: stai seguendo un modello nato per vendere spazi pubblicitari, non per valorizzare chi fa le cose con cura e passione.

Il circolo vizioso dell’irrilevanza

Più contenuti produci, meno attenzione riceve ciascun contenuto.

Meno attenzione ricevono, più ne devi produrre per compensare.

Più ne produci, meno tempo hai per renderli rilevanti.

Meno rilevanti sono, meno impatto hanno.

Meno impatto hanno, più devi aumentare la quantità.

È un ciclo che si auto-alimenta verso il vuoto cosmico, verso l’irrilevanza più totale.

Saresti sicuramente più efficace mostrandoti al lavoro, facendo toccare con mano la qualità, raccontando storie vere di chi usa i tuoi prodotti.

Dall’inquinamento alla sostenibilità

Immagina un approccio completamente diverso:

Non “quanto contenuto possiamo produrre?”, ma “quanto valore possiamo dimostrare?”

Non “come riempiamo il calendario editoriale?”, ma “come riduciamo il rumore e aumentiamo il significato?”

Non “come convinciamo le persone con i nostri messaggi?”, ma “come dimostriamo chi siamo con azioni concrete?”

Le tre dimensioni del contenuto sostenibile

Meno quantità, più profondità

Un solo contenuto che risolve davvero un problema vale più di cento che lo sfiorano appena.

Dal dire al dimostrare

Mostrare azioni concrete invece di dichiarare valori astratti.

Dalla produzione all’interazione

Contenuti che nascono da dialoghi reali, non da calendari editoriali.

Il caso Patagonia: dimostrare, non dire

Patagonia non pubblica post quotidiani sui valori ambientali.

Crea iniziative concrete che li dimostrano.

Non dice “siamo eco-friendly”, mostra il processo di produzione, con tutte le sue imperfezioni.

Non racconta storie di sostenibilità, fa causa al governo per proteggere i terreni pubblici.

I loro “contenuti” sono conseguenze di azioni, non obiettivi numerici di marketing.

Dal “Content is King” al “Context is King”

Il contenuto senza contesto è rumore.

Il contesto dà significato.

Rende rilevante.

Crea connessione.

Il vero re non è il contenuto.

È il contesto che lo rende significativo.

È il momento giusto.

È il problema risolto.

È il valore dimostrato.

È l’artigiano che mostra il suo laboratorio, non che scrive un blog sul “saper fare”.

È il produttore che fa vedere la sua terra, non che pubblica infografiche sulla sostenibilità.

È il ristoratore che racconta i suoi fornitori, non che crea contenuti sulla “filosofia del gusto”.

La domanda che cambia tutto

Prima di creare qualsiasi contenuto, chiediti:

“Se la mia azienda sparisse domani, qualcuno sentirebbe la mancanza di questo contenuto?”

Se la risposta è no, non stai creando valore.

Stai contribuendo all’inquinamento digitale.

Il principio di valore dimostrato

Il contenuto efficace non è quello che racconta chi sei.

È quello che lo dimostra.

Non dice “siamo innovativi”.

Mostra l’innovazione in azione.

Non promette qualità.

Fa vedere il processo che la crea.

Non elenca valori.

Li traduce in esperienze tangibili.

Verso un marketing meno tossico

Immagina un mondo con:

Meno contenuti, ma più significativi.

Meno dichiarazioni, più dimostrazioni.

Meno produzione, più interazione.

Meno metriche di vanità, più impatto reale.

Le persone non hanno bisogno di più contenuti.

Hanno bisogno di più verità.

Di più autenticità.

Di più azioni concrete.

Non di altre parole vuote.

La vera regalità

Il re non è il contenuto.

Il re è il valore che crei.

L’autenticità che dimostri.

I problemi che risolvi.

Le esperienze che offri.

Tutto il resto è solo rumore.

E di rumore, ne abbiamo già abbastanza.

Quando “Content is King” diventa l’obiettivo, il contenuto diventa irrilevante. È tempo di passare dal dire al dimostrare, dal produrre al significare, dall’inquinare al creare valore. Non abbiamo bisogno di più contenuti. Abbiamo bisogno di più verità.

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